La caccia, abominio non sport
Dopo gli avvenimenti di Genova, relativi al mese di Ottobre, e i numerosi casi analoghi che si sono susseguiti durante l’ultimo anno, è nostro dovere portare all’attenzione del pubblico una quantomai preoccupante deriva adottata dal mondo della caccia e dai suoi sostenitori nella futile opposizione a quello che è il fenomeno del disturbo venatorio.Se da una parte i cacciatori continuano la propria ridicola campagna mediatica atta a convincere il pubblico che la venazione sia una pratica buona e giusta, cercando persino di insediarsi nelle scuole per poter vendere la propria ideologia deviata a bambini, i quali non hanno ancora avuto modo di sviluppare un senso critico, con iniziative come “Il cacciatore in favola”, dall’altra essi tentano di instaurare un clima di repressione verso chi si oppone alla loro pratica e vuole negare loro il vezzo di uccidere.
Questo clima è manifesto in diverse iniziative legislative, portate avanti grazie al supporto di eminenti politici che promuono gli interessi dei cacciatori a discapito di quelli collettivi: un esempio evidente è la recente normativa ligure che prevede sanzioni per chi disturba la caccia; si noti che una legge analoga lombarda fu ritenuta incostituzionale dal Tribunale di Milano con la sentenza 6309 del 10 Maggio 2005 .
Ma il problema risulta essere ben più profondo e non circoscritto ai palazzi del potere. Resisi conto come tali leggi non possano permanere nel tempo in quanto grossolanamente incostituzionali e che esse presentino solo una soluzione temporanea e parziale al loro problema, la strategia scelta dai cacciatori è la più meschina possibile: essi, a volte supportati dalle istituzioni e dai media locali conniventi, puntano a screditare il movimento animalista e a sabotarlo con accuse assurde, contando che il peso delle spese legali connesse alle innumerevoli denunce infondate affossi le finanze degli attivisti e mini la loro credibilità. Attivisti si sono di volta in volta visti fermare e identificare dalle forze dell’ordine mentre passeggiavano nei boschi, accusati di violenza privata o aggressione, quando nella realtà sono sempre loro, i cacciatori, ad essere gli aggressori. Il reato di violenza privata, articolo 610 del Codice Penale, merita particolare attenzione. Sebbene esso reciti: “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”, tale reato viene spesso imputato a chi fa disturbo venatorio, e questo accade nonostante la totale assenza di violenza o minaccia. È poi onere dell’attivista difendersi da tali accuse per quanto infondate; nel peggiore dei casi esso prevede una pena fino a 4 anni. Allo stesso tempo però i cacciatori possono minacciare gli attivisti con i fucili, bloccare le loro auto e millantare improbabili conseguenze legali: tutto ciò solo per costringere la popolazione a tollerare la loro abominevole attività, la quale annualmente miete dozzine di vittime umane e innumerevoli vite di animali domestici e selvatici.
Emblematici in questo senso furono per esempio gli avvenimenti di Ravenna del 2015 dove, nel contesto della lotta del movimento animalista per salvare i daini della pineta, un’attivista fu selvaggiamente picchiata con il calcio del fucile da un cacciatore, mentre un altro dei volontari locali si vide recapitata la testa mozzata di un daino sul cofano della sua macchina. Queste e altrealtre azioni di violenza e minaccia dallo stampo mafioso sono molto più comuni di quanto la popolazione creda, e sono proprie di chi pratica uno “sport” basato sulla prevaricazione dei più deboli e non di chi a loro si oppone.
Mentre i cacciatori, forti delle leggi per loro e da loro scritte, possono permettersi di entrare nelle proprietà private altrui (grazie ad una legge scritta durante i Fascismo), occupare i boschi e mettere a repentaglio le persone che li frequentano, terrorizzare uomini e animali sparando vicino alle abitazioni e inquinando l’ambiente, al comune cittadino viene negato il diritto di passeggiare nei boschi e gli viene consigliato di chiudersi in casa. Chi si oppone ai cacciatori viene accusato di associazione a delinquere e la sua reputazione infangata su giornali da loro finanziati. L’accusa di cui sopra è infatti l’ultima trovata paventata da queste stesse testate, la quale pare sarà affibbiata agli animalisti, nonostante la nostra giustificata incredulità. Un capo di imputazione, questo, che comporta una pena dai 3 ai 7 anni di reclusione, e che generalmente è relativo alla criminalità organizzata, ai cartelli della droga, a bande di rapinatori e quant’altro.
Ne deriva che tali persone, animate dal solo spirito di sensibilità e compassione verso creature innocenti e mobilitatesi in loro difesa senza alcun altro scopo, verranno accostate a pericolosi malviventi.
Questo clima è palesemente premeditato e intenzionale: Federcaccia offre infatti assistenza legale gratuita a ogni cacciatore che voglia denunciare un animalista.
Nonostante le continue lamentele di tutte le tasse che devono pagare per continuare a sparare, di certo i cacciatori non si fanno mancare nulla in termini di spese frivole, partendo dalla considerevole armeria che ognuno di loro possiede, passando per le migliaia di euro spese per i cani da caccia acquistati come schiavi e poi rottamati quando non più utili, e arrivando infine all’ingaggio di una vera e propria squadra di avvocati dedita alla repressione dei dissidenti.
Noi abbiamo sopportato abbastanza: in una democrazia dove una schiacciante maggioranza dei cittadini è contraria alla caccia il fatto che essa venga strenuamente difesa da un manipolo di barbari retrogradi tramite l’inganno e la perversione di un sistema legale contorto è inaccettabile e inammissibile.
Non verremo fermati da tali azioni repressive, né verremo scoraggiati dall’esercitare il diritto basilare di difendere la vita dal sadismo e dalla gratuita crudeltà di una minoranza arrogante e tronfia, troppo impegnata a preservare lo status quo per accorgersi di risultare odiosa e aberrante ai più. Lotteremo nei boschi così come nei tribunali fino a che l’attività venatoria di tali assassini non verrà abolita, rimanendo una macchia nella storia, un ricordo imbarazzante di un passato barbaro e incivile, da nominare come cattivo esempio nei libri di storia.
Di Luca Menghini